La farfalla si posò lieve sul suo ginocchio. Luna la osservò divertita e non poté fare a meno di notare quanto fosse delicata e bellissima, con le ali screziate di azzurro su fondo giallo, le minute antenne e le zampe così fini da sembrare inesistenti. Si chiese come potesse sopravvivere un essere così fragile alla pioggia ed al vento e la risposta che si dette era la stessa che nel medesimo tempo stava dando, nei suoi confronti, la farfalla:
“È un vero mistero”.
La domanda che si era posto l’insetto verteva su cosa ci facesse una ragazzina bionda, dagli occhi azzurri e la pelle così chiara, distesa al sole in un campo di papaveri. Le sembrava così smarrita e si chiedeva come faceva a difendersi dai predatori. Era molto grande, almeno molto più di qualunque farfalla, ma sembrava così gracile, così poco preparata ad una fuga o ad una lotta per la sopravvivenza. Si fissavano e cercavano di entrare l’una nei pensieri dell’altra.

“Starà pensando cosa faccio distesa su un campo di papaveri.”
Rifletteva Luna, succhiando un filo d’erba.
“Ma tu cosa ci fai sul mio ginocchio? Non è un fiore, non produce polline, cara... come posso chiamarti? Ti va se ti chiamo Mafalda? A proposito...ciao, io mi chiamo Luna!”
E così dicendo allungò verso di lei l’indice della sua mano destra come ad invitarla a salirvi sopra.
La farfalla esitò un attimo, timorosa e con un briciolo di sospetto. Poi decise che di quell’essere doveva fidarsi, anche a rischio della vita. Fece un brevissimo volo e si posò su una falange.
La ragazzina avvicinò il dito verso il volto per ammirarla in tutto il suo splendore. Adesso apprezzava ogni piccola striatura blu e il colore giallo così intenso nello sfondo delle sue ali, accorgendosi di quanto fossero sfrangiate e complesse nella loro forma. Lei non sarebbe mai riuscita a disegnarle così perfette.